Le ultime due settimane sono state dedicate alla scoperta
del Rajasthan, la terra dei maharaja, collocata nel nord-ovest dell’India, che
come probabilmente tutto il resto del paese vive di eccessi e contraddizioni,
incarnando l’odi et amo catulliano e lasciandoti sbigottito e confuso nel suo
turbinio di suoni profumi e colori, incantato da una parte e contrariato
dall’altra di fronte alle abitudini di una cultura che sembra appartenere ad un
pianeta a se stante.
Il Rajasthan del cibo delizioso ed estremamente speziato e
piccante, dove al pollo e al montone cucinati in tutte le salse, si affiancano
ottimi piatti di formaggi (paneer), o di legumi verdure ed ortaggi (thali),
sempre accompagnati da soffici pani (chapati e naan).
Il Rajasthan dei colori, che caratterizzano in un modo cosi’
unico e raro i palazzi delle citta’, che vengono sapientemente intrecciati nei
lunghi sarees verdi rossi gialli e blu delle donne, o nei turbanti arancioni e
bianchi degli uomini.
Il Rajasthan delle religioni, indu’ per lo piu’, ma con
grandi comunita’ musulmane e rappresentanze minori buddiste, con i loro canti
sacri che si alzano dai pinnacoli dei templi o dai minareti delle moschee a
tutte le ore del
giorno e della sera.
A tutto questo lato di fascino e magia si contrappongono
pero’ tanti elementi che ti portano ad essere quantomeno scettico nei confronti
di questa regione.
A partire dale condizioni igieniche praticamente inesistenti
dei ristoranti (le cucine sono allucinanti, e scordatevi di avere un piatto o
delle posate che siano lavate), o dei treni (efficienti e capillari in tutto il
territorio, ma soprattutto nei lunghi viaggi in “cuccetta” preparatevi a
combattere tutto il tempo per tenere lontani i centinaia di scarafaggi che
infestano i vagoni).
Passando per il caos delle strade, dove su un letto di
immondizia ed in mezzo ad animali di qualunque tipo, macchine e moto corrono
all’impazzata con il dito sul clacson, in una guida a dir poco folle. Cioe’ tu
stai camminando tranquillo e spensierato, e all’improvviso ti vedi una macchina
che sta sorpasando un tuk tuk che sta sorpassando una moto che sta sorpassando
un cammello che sta sorpassando una mucca, piombarti addosso. Si’ perche’ poi
le citta’ sono letteralmente invase dalle mucche sacre, che si aggirano per le
strade come ogni altro passante, nutrendosi di rifiuti e scatoloni di cartone e
fogli di giornale, perche’ stranamente non cresce foraggio nei centri abitati.
Insomma questo e’ il Rajasthan, nel bene e nel male, dove in
un tuk tuk da tre passeggeri ne salgono in trenta, su un autubus da cinquanta
persone se salgono in duecento (compreso il tetto del mezzo), e su un vagono
del treno di terza classe ci entra tutto il liceo Torquato Tasso di Roma. Dove
devi sempre difenderti dall’assalto di bambini signori e vecchi che ti
circondano per chiederti l’elemosina (e quanti sono, e quanto sono poveri), e
stare attento a qualunque cosa ingerisci, spesso anche le bottiglie d’acqua
vendute nei negozi che vengono puntualmente rimempite risigillate e rimesse in
vendita con acqua di strada, causandoti dei davvero poco piacevoli mal di
pancia.
Tornando al viaggio, una volta scappati dall’enorme Delhi,
dopo aver prenotato tramite un’agenzia di viaggio tutti gli alberghi al fine di
trovare qualcuno con la scritta “danieli” ad aspettarci in stazione per
sottrarci dal delirio di gente pronta ad assaltarci, abbiamo iniziato il nostro
giro in treno.
Prima tappa: Jaisalmer, la citta’ gialla. Diciotto ore di
treno per arrivare in questo forte ancora abitato da circa quattromila persone,
eretto nel bel mezzo del
deserto. E’ qui che abiamo conosciuto cool Raul, un ragazzo di ventidue anni
che ci ha spiegato un po’ meglio i riflessi dell’induismo sulla societa’. Raul
appartiene alla casta dei bramini e si sposera’ con una ragazza della stessa
casta, anche se di questo non si deve preoccupare tanto l’anno prossimo i
genitori decideranno per lui chi sara’ la fortunata. Raul non ha mai baciato
una ragazza, in realta’ non ci ha mai neanche scambiato due parole, non ha mai
avuto un’amica. Sarebbe una cosa troppo irrispettosa e sconveniente, quindi
aspettera’ il giorno del suo matrimonio per
rompere questo tabu’, parlare per la prima volta
con una rappresentante del gentil sesso e conoscere cosi’ sua moglie. E questo significa induismo, ad
eccezione delle grandi citta’ dove l’emancipazione ha avuto in parte il
sopravvento sulla religione. Lascio a voi ogni opinione o gudizio.
A Jaisalmer abbiamo anche fatto un’escursione a cammello e
trascorso una notte all’aperto sotto le stelle, in tutto molto simile a quella
che avevamo fatto qualche anno fa in Marocco.
Seconda tappa: Jodhpur ,
la citta’ blu. Un’interessante visita audioguidata nello sbalorditivo forte che
ospitava il palazzo del maharaja (qui fino a poco piu’ di un secolo fa ancora
vigeva la pratica del sati, dove alla morte del re tutte le mogli si gettavano
vive tra le fiamme della sua pira funeraria), e poi un lungo giro a piedi tra i
bazar intorno alla torre dell’orologio, in quella che fin’ora e’ risultata la
citta’ piu’ caotica che abbiamo visitato, dove la rete fognaria e’ a cielo
aperto e vi lascio immaginare che buoni odori soprattutto alla sera quando si
alza il vento.
Terza tappa: Udaipur ,
la citta’ bianca. Edificata intorno al lago Pichola, dominata dal piu’ grande
palazzo reale di tutto il Rajasthan (dove nella meta’ non aperta al pubblico
come museo, vive ancora lo sfortunato maharaja), di una bellezza avvolgente.
Bei tramonti sulle tante terrazze panoramiche che offre la citta’, e un po’ di
shopping nelle botteghe degli artigiani che hanno reso questa citta' famosa per la
sua tecnica di pittura della seta.
Quarta tappa: Pushkar, la citta’ sacra. Dopo l’arrivo nella
stazione di Ajmer (immaginatevi porta portese e
la caritas di via Marsala inseriti al’interno
della stazione ferroviaria di un piccolo paese italiano), ci siamo spostati con un tuk tuk
nel piccolissimo centro abitato, quindicimila persone. Un centinaio di templi
si innalzano attorno alle sacre acque del
lago, e proprio con queste acque siamo stati iniziati anche noi ai rituali
propiziatori induisti, con tanto di bindi sulla fronte. Vi e’ anche il templio
di Brahma, unico in tutta l’India (non so cosa significhi, ma c’erano davero
centinaia e centinaia di pellegrini in visita).
Quinta tappa: Jaipur, la citta’ rosa .
Molto piu’ grande delle precedenti, con il gigante e labirintico forte di Amber,
le mura rosa che delineano la citta’ vecchia, un
altissimo minareto nel centro, un templio pieno di scimmie arroccato su una
collina, e tante botteghe di lavorazione di pietre preziose e vestiti (ci siamo
fatti anche fare la nostra prima camicia su misura).
E domani all’alba lasciamo il Rajasthan e muoviamo alla volta dell’Uttar Pradesh..a presto!!
Shantaram! :)
RispondiElimina(immaginatevi porta portese e la caritas di via Marsala inseriti al’interno della stazione ferroviaria di un piccolo paese italiano)
RispondiEliminaveramente di difficile immaginazione...un continuo contrapposizione di sentimenti e paesaggi,rispecchia l'idea che uno si fa dell'India, uno dei paesi + dicotomici (come diceva l'illustre amaduzzi) che si possano pensare, all'avanguardia ma legato alle tradizioni, con un economia florida ma anche una popolazione che versa in un estremo stato di povertà, con un enorme spiritualità ma legato ad un modus vivendi come l'elemosina, enormi pallazzi stupendi e intorno sporcizia a perdita d'occhio, in una parola INDIA.
DAJEEEEEEE